W. Anichiarico – Emily Johnson
L’esperienza di un civil servant italiano, Giovanni D’Onofrio, documentata in un ampio dossier dei ricercatori di Palo Alto, ripropone il tema della crisi degli apparati democratici nei paesi occidentali. L’omaggio a Duccio Mantici
Nel contesto delle pubbliche amministrazioni esiste un fenomeno spesso sottovalutato ma estremamente pervasivo: la character assassination. Esso coinvolge l’isolamento, la discriminazione e la calunnia verso individui che, rompendo il codice del silenzio, scelgono di mantenere un’integrità etica e denunciare le irregolarità.
L’ Istituto di Palo Alto ha pubblicato in un ampio dossier la storia di Giovanni D’Onofrio, un civil servant italiano, due volte insignito della non agognata menzione nei circuiti HRM per essere tra i professionisti, censiti nei paesi del G7, maggiormemte discriminati per motivi ideologici e politici.
Bastano pochi dati per comprendere l’entità del fenomeno descritto nel dossier, dove si evidenzia tra l’altro l’incredibile character assassination subìto da questo professionista: 21 anni continuamente imputato (ma sempre assolto o prosciolto); pesanti minacce e aggressioni; carriera bloccata con perdita netta di circa 400.000 euro in dieci anni; costi delle difese in giudizio superiori ai 150.000 euro e un processo mobbizzante che inquieta e sorprende, dove non mancano violenza ed un pizzico di follia burocratica tutta mediterranea che va da procedimenti disciplinari per violazione del benessere a una folle dichiarazione ufficiale nella quale, pur di ostacolarlo, una direzione del personale disconosce la veridicità di una sentenza passata in giudicato .
Giovanni è stato un allievo di grandi analisti italiani: il Generale Mario Mori, già Direttore dell’intelligence italiana e a capo della squadra che riuscì ad arrestare Salvatore Totò Riina, e Duccio Mantici, stimato analista di intelligence e collaboratore da anni dei nostri circuiti. Giurista, sociologo, Giovanni è uno degli autori di quel dossier sul “Fondamentalismo islamista nell’occidente mediterraneo”, curato proprio da Duccio Mantici, che ha riscosso diversi estimatori tra gli analisti di settore e ha anticipato (nel 2006) il “rischio francese” che si sarebbe poi rivelato dal 2015 in poi .
Prima di avviare questo nostro viaggio, non possiamo non riconoscere un tributo proprio a Duccio Mantici, che ci ha lasciati alla fine del 2023. Gli amici della Princeton Academy (ricompresi nel circuito Sean29) hanno voluto celebrarlo con un suo ultimo contributo che non è stato pubblicato online, ma che ciascuno di noi custodisce nel suo archivio digitale (ed è abbastanza ironico pensando alla leggendaria avversità che Duccio manifestava per il digitale). Ricordare la sua ironia romana e il suo sarcasmo mediterraneo ci impedisce di elencare i motivi del ricordo e della mancanza che sentiremo (perché lo immaginiamo tutti deriderci da lassù) e questi vanno dalla sua inseparabile pipa all’amore per gli animali, dalla sua lucidità alla sua cultura, ma soprattutto investirà la sua capacità di analisi, di prevedere anni prima l’evoluzione di alcuni fenomeni di devianza.
Nei circuiti di intelligence Duccio era stimato da tutti i servizi occidentali, che vedevano in lui un partner leale, realista, concreto, preparato. Uno dei migliori agenti italiani di sempre, e come sempre accade anche Duccio non né è stato il …profeta in patria. Una contorta vicenda lo portò ad abbandonare nel 2007 il Sisde (l’agenzia di intelligence italiana dedicata agli affari interni, oggi Aisi) . Da allora il mondo accademico ha guadagnato un maestro in più, ma il circuito della sicurezza occidentale ha perso tanto, forse troppo. In merito a quanto accadde nei servizi italiani in quegli anni, l’autore del dossier pubblicato suggerisce anche una interpretazione parecchio grave per la “strana” democrazia italiana.
Proprio Mantici, che in verità era più incline all’analisi geopolitica che a quella organizzativa, era stato spinto da D’Onofrio e dalla sua storia ad occuparsi di aspetti a lui meno congeniali, per lui meno prioritari, ma di cui aveva riconosciuto l’importanza. Mantici, da questo punto di vista, aveva introdotto nel circuito una riflessione, in sede di commento alle opere di Gilber Achcar e di Michelle Fields: in entrambi l’analista italiano aveva trovato elementi per discutere del passaggio dall’intelligence ortodossa, focalizzata sul contrasto a forme di azione violenta (criminalità, delinquenza, terrorismo: in fondo tutti rami dello stesso albero) sulla counter-intelligence e sulla Finint, a una forma più evoluta che comprendesse gli eccessi dell’intelligence americana (analisi UAP, remote viewer, ecc.), sebbene contenuti in ambiti più “ragionevoli” ,e forme di contrasto alla “disonestà, slealtà e tradimento istituzionale”. In breve una intelligence formata anche per contrastare i fenomeni di corruzione e cronysmo in grado di incidere sulla sicurezza nazionale intesa come salvaguardia degli equilibri istituzionali: un firewall per evitare il declino inesorabile che avevano vissuto diverse civiltà a causa di quello che solo noi occidentali definiamo come “deriva”, ma che in realtà rappresenta la permeabilità corruttiva dei vertici nel sistema democratico.
Duccio Mantici e Giovanni D’Onofrio, del resto, avevano pubblicato alcuni articoli nel circuito HRM e le loro ricerche avevano introdotto il c.d. white collar paradox, ovvero l’analisi dei motivi che caratterizzano l’enorme tolleranza delle intelligence occidentali (rectius:di alcune) riservata allo State Capture, al log-rolling, a fenomeni di cronysm, ovvero all’intera scura costellazione che spesso e troppo superficialmente si definisce semplicemente corruzione.
Il paradosso consisteva, ed è tuttora così, nel fatto che realisticamente la democrazia, come ogni altro sistema politico, non è immune alla corruzione che, anzi, è uno strumento utilizzato da chi può esercitare un potere politico o amministrativo per rendere più fluidi e convenienti i rapporti e assicurarsi vantaggi finanziari,di carriera o elettorali. Per i Governi, per i politici, per i civil servant la corruzione sarà anche un problema etico, ma è un male endemico che nessuno vuole rischiare vengo svelato. La ferita purulenta di ogni democrazia occidentale; l’ipocrisia sistemica degli apparati di potere. In questo contesto immaginare una metodica attività di intelligence potrebbe rappresentare un serpente che morde la sua stessa coda.
Lo spunto per elaborare una teoria del genere era stato offerto dalla “nuova” struttura che l’Italia si era data per contrastarla, l’ANAC: al di là della veste giuridica (si tratta di una “autorità”, il tentativo di emulare termini anglosassoni che descrivono uffici con amplissimi poteri, non certo quelli dell’ANAC), i due analisti ne avevano criticato i debolissimi poteri, l’attenzione estrema rivolta alle norme in materia di acquisto di beni (attenzione giuridica) ed il meccanismo burocratico in cui si era incastrata nel tentativo, da parte di qualche pur lodevole vertice,di trovare una sua strada, un significato, una missione più chiara. Anche la totale assenza tra i vertici di quella istituzione di analisti o investigatori aveva provocato qualche perplessità. Ad oggi, l’anticorruzione italiana, forse non per sua colpa, non è una realtà da best practice. Anzi è forse tra le peggiori.
Identiche considerazioni Mantici e D’Onofrio avevano espresso sulla neonata Agenzia Italiana per la Cybersecurity, a loro modo di vedere un meccanismo indispensabile ma che era stato espulso dall’intelligence e in Italia aveva assunto una veste fin troppo burocratica. “Affiancare la cybersecurity all’intelligence sarebbe stato non solo corretto, ma conforme all’esperienza di tutti i paesi occidentali; tutti!nessuno escluso”
Tuttavia, l’attenzione sulle vicende di Giovanni D’Onofrio si innesta più su considerazioni di natura sociologica che organizzativa e suggerisce riflessioni davvero interessanti. Per chi non avesse letto il dossier, ecco il link.
Proviamo a sintetizzare, anche se invitiamo i membri a documentarsi comunque prima leggendo il file inviato.
Giovanni , e capiremo poi il perché, ha impedito per diversi anni che il dossier fosse pubblicato, ritenendo le considerazioni espresse dal gruppo di ricerca eccessivamente critiche nei confronti del suo Paese (poiché aveva assegnato all’Italia il ranking più basso come indice di reattività alla devianza in ambito pubblico). Tuttavia, considerazioni altrettanto severe erano state già fatte al di fuori del circuito Sean e HRM in un articolo a firma di Carah Chayes. L’autrice aveva citato alcune esperienze di professionisti europei per delineare le differenze tra il sistema anticorruttivo americano e quello, appunto, del vecchio continente. Fra queste, aveva richiamato (pur senza nominarlo) anche alcuni episodi della storia di D’Onofrio. L’autrice si era soffermata parecchio su alcuni eventi “indice” almeno di una violenta ritorsione: le indagini illecite sulle dichiarazioni di Giovanni, la negazione degli effetti di una sentenza passata in giudicato e il confronto appena curriculare tra GD e i suoi diretti competitor.
Come avrete letto nel file, GD ha una storia da analista e sociologo. Ha pubblicato numerosi articoli su diversi giornali e riviste almeno fino al 2002, prima di entrare nell’intelligence italiana. Fino ad allora si era occupato di fenomeni di devianza e organizzazioni criminali, collaborando con diversi istituti di ricerca italiani e stranieri. Nel 2000 un suo saggio sul white collar crime vinse due premi internazionali, uno in Italia e l’altro in Francia. Entrato nella pubblica amministrazione italiana nel 1996 con una borsa di studio, è stato completamente travolto da una stagione particolare, sia sotto il profilo sociopolitico che culturale che l’Italia ha vissuto dal 1992 ad oggi. Giovanni D’Onofrio (Gio per tutti. Nick:Blue John Blues) è stato ed è una delle vittime collaterali di una orribile stagione italiana che non è ancora finita, probabilmente.
Durante il periodo della sua formazione, il Paese in cui viveva e vive fu scosso da quella che secondo numerosi servizi di intelligence fu una rivoluzione carsica: un colpo di Stato da parte del potere giudiziario che decapitò la classe politica in auge e cercò di sostituirla con partiti di opposizione di sinistra o estrema sinistra (democratici, dunque). Oltre ciò, l’intervento in politica di Silvio Berlusconi esacerbò oltremodo gli animi. La confusione politica ed istituzionale, intanto, aveva dato l’occasione alle associazioni criminali dedite al narcotraffico e alla criminalità economica di tentare un colpo di mano di per sé idoneo a legittimarli come interlocutori delle istituzioni. Diversi uomini dello Stato furono ammazzati con stragi eclatanti, con l’uso di tonnellate di tritolo e senza alcuna preoccupazione per eventuali vittime civili. L’aggressione criminale si attenuò, fino a cessare del tutto, dopo l’arresto del capo supremo, del boss, del padrino, da parte di valorosi investigatori i quali, in seguito, dovettero subire un processo ventennale, accusati anch’essi di aver fiancheggiato il potere criminale (nonostante i risultati ottenuti lo smentissero).
Insomma: un paese sull’orlo di una crisi di nervi, prossimo al collasso istituzionale e finanziario: le autorità monetarie svalutarono pesantemente la valuta nazionale (nell’ordine del 30%) e cedettero alcuni asset economici fondamentali. Investitori internazionali senza scrupoli avevano fiutato la preda ferita, e vi si avventarono. Tuttavia, il giorno prima della svalutazione, decisa all’improvviso, dal Paese uscirono ingentissime somme di denaro, per rientrare qualche mese dopo, generando profitti monstre altrimenti impossibili da realizzare. Un tutto contro tutti che si realizzò con l’imputazione plurima di Berlusconi, intanto diventato capo del Governo, per associazione a delinquere, con nemmeno tanto sottesi sospetti di aver finanziato egli stesso le bande criminali autrici delle stragi. La circostanza che ha visto quel tycoon partecipare alla vita pubblica del Paese di cui parliamo fino a qualche mese prima della sua morte (avvenuta nel 2023), di là del bene e del male, può già dire molto di quanto il livello di conflitto sociale e politico in quello Stato sia stato, e lo è ancora, lungo, difficile. Solo per caso non si sono sviluppate tendenze terroristiche, dovremmo dire.
Un terremoto che avrebbe scosso dalle fondamenta anche una solida democrazia e che arrivò a sconvolgere la stessa società civile, da allora avviluppata in un senso di mediocrità, di complottismo, di giustizialismo e di politica da mainstream che ne ha fatto l’antesignana di una tendenza distopica delle maggiori democrazie occidentali; da allora, in quel Paese, l’arma delle inchieste giudiziarie, il potere delle accuse strumentali, il peso delle calunnie, sono state sdoganate e divenuti strumenti della dialettica e della lotta politica, ridimensionata in un gioco mediatico delle parti, tutte alla ricerca di una ideologia, e senza idee; Da allora quel Paese è in preda ad una deriva istituzionale, con una sfiducia diffusa nella popolazione ed una gestione della politica talmente debole da aver comportato, in venti anni, la vendita dei principali asset commerciali ed industriali a Stati concorrenti e spesso confinanti ed a un ridimensionamento sul piano internazionale del prestigio e della potenza accumulata nei primi decenni del secondo dopoguerra; da allora la vita politica è stata condivisa nelle aule dei Tribunali, dapprima con il sospetto di una deriva autoritaria di una parte della magistratura democratica, e infine con la conferma di una azione reazionaria dei magistrati, svelata da un giornalista di un giornale repubblicano, tra l’altro uno dei pochi che, guarda caso, si è anche occupato delle vicende di Gio di cui tra poco diremo. Da allora e ancora, aggiungo, se è vero che il Ministro della Difesa dell’attuale Governo Repubblicano, apparentemente molto conservatore, ha ufficialmente dichiarato di temere una reazione sul piano e del piano giudiziario all’attuale ordine politico. Tutto ciò senza che la società civile abbia mai reagito.
Era quello l’autunno delle democrazie del primo mondo a cui sarebbe seguito l’inverno, e l’inferno, dell’ 11 settembre 2001. Tutto questo, o almeno il drammatico abbrivio fatto di tritolo, inchieste, arresti e scandali, era avvenuto in soli 6 anni durante i quali Gio si occupò in particolare della reazione della magistratura all’ordine costituito, il carsico colpo di Stato di cui si scriveva, lavorando come giornalista, e ne rivelò alcuni lati oscuri che gli procurarono un primo invito in Procura, tanto per avere spiegazioni.
Il male assoluto
All’inizio del secolo, intanto, mentre GD raggiungeva il livello manageriale più elevato nell’Amministrazione dello Stato a cui era possibile accedere per concorso pubblico, l’atmosfera nel Paese, se possibile, divenne ancora più aggressiva: i conservatori erano tornati al Governo e nei loro confronti impazzava una campagna giudiziaria particolarmente ostile (una campagna che dall’inizio della rivoluzione carsica non aveva avuto soluzione di continuità), incoraggiata da una evidente tendenza all’affarismo delle classi dirigenti; giornali e trasmissioni televisive si concentravano solo su eventi che riguardavano sangue, sesso e soldi, ovvero scandali. I dibattiti politici erano più arringhe giudiziarie che confronti idelogici
” Il livello di conflitto sociale nel Paese era talmente alto che, quando all’inizio del secolo mi ritrovai a lavorare (per puro caso) nell’Ufficio di Staff di un Ministro conservatore, mi sentìi rispondere da amici, a cui avevo chiesto di darmi una mano nel seguire un progetto di riorganizzazione, che di là dell’amicizia loro non mi avrebbero sostenuto perché ritenevano quel Governo fascista e razzista. E non era l’unica difficoltà. A ciò si aggiungeva la diffidenza dei nuovi governanti, molti dei quali dei veri e propri outsider, spaventati sia dall’incarico che dall’atmosfera nel Paese e che con enorme difficoltà riuscivano a fidarsi di civil servant che non risultassero iscritti al loro partito o comunque che non fossero ritenuti “affidabili” entro il secondo grado di separazione di Milton. Una patologia che persiste da allora, e siamo nel 2023. E ciò ha reso i conservatori, in un paese conservatore, outsider ontologicamente. “
Probabilmente Duccio Mantici aveva ragione: l’Italia, per caratteristiche culturali, fatali e locali spesso nella Storia ha anticipato i tempi, nel bene e nel male. Il Paese è da anni percosso da una crisi di tipo “sociologico”, più che social-politico; dall’inizio degli anni ’90 il paese ha vissuto un declino delle coscienze, una crisi del senso di coesione che solo gli italiani stentano a riconoscere, mentre gli altri paesi coinvolti nell’Unione Europea fanno spallucce, poiché di UNIONE c’è davvero poco: quel coacervo di paesi tirati a forza nel primo mega-accordo economico-finanziario tra paesi sviluppati, nel tentativo di evitare conflitti militari e prepararsi al mondo di oggi, è non solo profondamente diviso, di là dalla facciata, ma anche in concorrenza con se stesso. Il bel paese in circa 30 anni ha perso la proprietà del 60% delle sue banche, del 90% delle sue grandi aziende, di quasi l’intera grande distribuzione; l’Italia è assente nel settore delle tecnologie informatiche, latente in quello delle telecomunicazioni e ha un debito pubblico monstre impossibile da sanare; ha ridotto significativamente la produzione in alcuni settori alimentari, perso la proprietà della maggior parte delle sua case di moda (un fiore all’occhiello), e si affida ad Americani e sud-coreani per l’implementazione delle tecnologie mediche di ultima generazione. L’Italia non ha un esercito in grado di affrontare un conflitto qualsiasi, non possiede armi atomiche e le sue basi maggiori sono americane (oppure Nato, ma cambia poco)
Tornando al tema: Giovanni D’Onofrio ha lavorato a diversi livelli nello Stato e spesso con Governi centrali e locali di centrodestra, pur non essendo legato invero a nessuno politicamente, e dunque non avendo peculiari coperture o protezioni, e proprio nel corso della battaglia tra magistrati e conservatori. Questo, e semplicemente questo, gli è costato 21 anni di varie imputazioni senza alcuna soluzione di continuità, imputazioni sempre sorte da inchieste avviate nel corso di Governi di destra, imputazioni che si sono sempre rivelate infondate, ma che hanno contribuito, come sottolinea il dossier, ad un tale ostracismo che rasenta la violenza estrema a cui può giungere la società che si annida nella Pubblica Amministrazione. Violenza determinata anche dalle numerosissime denunce che questo professionista ha presentato all’autorità giudiziaria e che, pur essendo state inserite nei fascicoli di processi importanti, non hanno di per loro provocato, almeno in apparenza, indagini serie. Su Giovanni è rimasta la gogna, l’acredine e l’ostilità, spesso legata a percorsi di carriera ed alla sociologia dell’in-group
Character assassination: la nostra meravigliosa espressione che sintetizza tutto ciò che accade in sistemi deviati critici, come li definiva Scott. Quando qualcuno si oppone al sistema, allora lo si distrugge. Nei paesi democratici si usano diversi altri termini, tra cui emerge il mobbing, e manco a dirlo l’Italia è stata l’ultimo paese del G7 ad introdurlo, almeno nei paradigmi, nel sistema di difesa del lavoratore. Dunque, ecco cosa ha esposto così tanto un civil servant, al punto da rovinargli la carriera, fargli subire pesanti minacce ed aggressioni, lasciarlo in completa solitudine anche di fronte a sue condotte ineccepibili:
- L’essere “raccontato” come uomo di destra, senza tuttavia alcun riconoscimento nell’in-group relativo, anzi subendo l’ostilità anche di quella parte politica (chi non si riconosce nell’in-group o chi non ne viene riconosciuto subisce il rigetto);
- L’ aver denunciato diversi casi di State Capture;
- Non essere parte di alcun in-group professionale e dunque subire l’avversione dei soggetti inseriti nei circuiti temporali di progressione di carriera
- L’aver partecipato a pesanti e complessi processi di riorganizzazione e innnovazione (diversi ministeri, enti locali, servizi di intelligence, partiti politici, ecc.), con annessi processi di sviluppo del personale, tutti in ambito pubblico e tutti o quasi ad elevata conflittualità e tensione. Sovraesposizione.
Gio nel 2012 aveva scritto un articolo per la Blackapes Foundation nel quale descrisse il fenomeno dell’uroboros sociale, quel pregiudizio che macchia per la vita quegli uomini che a causa delle loro idee e delle loro azioni si pongono non solo contro i fenomeni di devianza sociale (corruzione, criminalità, ecc.), ma anche contro il sistema nel suo complesso, e lo fanno senza usare violenza o la politica, ma dall’interno, utilizzando gli strumenti che la stessa democrazia offre ai suoi cittadini. L’autore dimostrò che nelle attuali democrazie occidentali alcuni meccanismi di salvaguardia del sistema non sono più funzionanti e la violazione di alcune di queste clausole è ampiamente tollerata. Siamo alle porte, direbbe qualcuno, della democrazia eslege (senza legge) che Platone prima e Aristotele poi vedevano come patologia del sistema democratico: la fine del circuito porta all’oclocrazia, ovvero al populismo ottuso che parla all’elettore e non più al cittadino ed esalta interessi particolari a valor comune. Nel mondo moderno, qualcuno ha parlato di franchising democratico: si mantiene l’aspetto formale delle democrazie, per tranquillizzare la società nel suo complesso, ma cade la ripartizione dei poteri, la politica delle idee viene sostituita da quella del fare ordinario sbandierato come eccezionale,la politica giudiziaria diventa arbitraria e strumentale, i mass media riflettono il mainstream puritano e il politically correct, si confondono ruoli e competenze, si diffonde una neolingua ed il reale controllo, quello sul modo di pensare, viene offuscato da una ipocrita lotta alla privacy, sempre meno tutelata negli effetti, ma esaltata nelle forme. La democrazia è solo nelle parole e nei codici formali. Se questi sono i noiosi presupposti sociologici (siamo o non siamo degli analisti?), la storia concreta è di certo più avventurosa. Purtroppo ciò non accade in qualche repubblica sudamericana o asiatica, oppure in qualche esotica savana africana: ciò accade, con diverse sfumature, in quasi tutti i paesi occidentali sui quali puntiamo da sempre la nostra attenzione analitica. E fra questi alcuni sembrano, in quanto ad un new order orwelliano, più avanti di altri
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